Euro

 <div class="wpb_wrapper"> <p>Sembra che in <strong>Inghilterra</strong> potrebbe arrivare una nuova <strong>legge per limitare le calorie nel piatto</strong>, un ultimo tentativo per combattere la guerra contro l’obesità. Del resto l’isola britannica sfida da anni questo fenomeno, anche con una tassa sulle bibite come in Italia, registrando risultati altalenanti. In un nuovo documento reso noto dalla stampa inglese la <em><strong>Public Health England</strong></em> avrebbe reso noto che dal <strong>2024</strong> potrebbero essere introdotto un limite alle calorie in diversi piatti, dalla pizza ai cibi etnici.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <h2>Cibi pronti e porzioni nei ristoranti sotto attacco</h2> <p>A subire la maggior parte della pressione saranno i cibi pronti e i ristoranti, che in qualche modo dovranno dimostrare che le loro preparazioni non superino il <strong>tetto massimo di calorie</strong>. L’idea, secondo l’ente governativo Public Health England, è dare 5 anni di tempo a produttori, rivenditori e locali per <strong>adattarsi volontariamente alla nuova linea guida</strong>, per poi impiegare metodi più decisi.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p>Per intenderci, <strong>panini</strong> e <strong>insalatone</strong> avranno un tetto massimo di <strong>550 calorie</strong>, i <strong>vol-au-vent 134</strong>, la <strong>pizza 1040</strong>. Il problema è che questi valori sembrano essere stati calcolati per difetto, rendendo molto difficile rispettarli. In più nei ristoranti l’asticella è più morbida, più che raddoppiando i limiti imposti agli stessi piatti venduti, per esempio, come piatti già pronti al supermercato.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <h2>Una legge molto criticata</h2> <p>La stampa inglese ha attaccato duramente questa possibile deriva autoritaria del governo, sottolineando come sia quasi impossibile mettere in pratica i <strong>controlli adeguati</strong>. Il pensiero comune è che la scelta dei legislatori sia stata troppo prepotente nei confronti della popolazione, che rischia di non subire alcun effetto positivo dalla nuova stretta alle calorie.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p>Del resto chi potrebbe impedire ad un cliente di acquistare una porzione in più di un piatto quando non si sentirà sazio? In più i consumatori si potrebbero trovare di fronte a <strong>porzioni più piccole a fronte di uno stesso prezzo</strong>, andando così a spendere di più per saziarsi. Il governo potrebbe aver fatto una mossa eccessivamente invasiva, ma ha ancora qualche anno per poter correggere la rotta.</p> </div> 

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Una legge per limitare le calorie nel piatto, l’ultima mossa di un governo che combatte contro l’epidemia di obesità. Potrebbe succedere in Inghilterra, ma la scelta è ampiamente criticata.

Arriverà una legge per limitare le calorie nel piatto?

 <div class="wpb_wrapper"> <p>Abituarsi a mangiare <strong>porzioni piccole</strong> può col tempo cambiare la nostra idea di porzione «normale» e aiutarci ad <strong>alimentarci in modo più sano</strong>, senza abbondare col cibo e sentirci comunque sazi. È questo il risultato di uno studio dell’<strong>Università di Liverpool</strong> pubblicato sulla rivista <em>American Journal of Clinical Nutrition.</em></p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <h2 style="text-align: justify;">Porzioni sempre più grandi</h2> <p style="text-align: justify;">Scegliere porzioni ridotte può aiutarci a <strong>modificare la nostra percezione di cosa è una porzione «normale»</strong> e aiutarci nel tempo a nutrirci in modo più equilibrato. Nel corso dell’ultimo secolo le porzioni di cibo venduto in commercio, soprattutto nei supermercati, ha avuto un costante incremento. Se qualcuno ha avuto la possibilità di acquistare prodotti un qualche supermercato statunitense si sarà certamente imbattuto in super-confezioni come il temibile contenitore di latte da un gallone americano (3,7 litri).</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p style="text-align: justify;">Secondo nutrizionisti e psicologi la tendenza alla <strong>sovralimentazione passiva</strong>, cioè la tendenza ad assumere più nutrienti del necessario in modo non volontario, è dovuta in parte anche all’idea di ciò che consideriamo come una porzione «normale». Di fatto spesso questa porzione è ben di più di quanto il nostro corpo avrebbe bisogno.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <h2 style="text-align: justify;">Un esperimento in tre fasi</h2> <p style="text-align: justify;">I ricercatori dell’<strong>Istituto di Psicologia, Salute e Società</strong> dell’Università di Liverpool hanno voluto testare questa ipotesi. In una prima fase dell’esperimento ad una serie di persone è stata offerto un pasto di <strong>quiche e insalata</strong> in porzioni di differente dimensione: piccole e grandi. Per non svelare il vero obiettivo della ricerca ai partecipanti era stato detto come l’esperimento fosse invece mirato ad indagare in agli effetti del cibo sull’umore. Il giorno successivo ai medesimi partecipanti è stato offerto lo stesso pasto, questa volta però i soggetti <strong>potevano servirsi da soli</strong> e scegliere una porzione di loro gradimento. Nella terza fase dell’esperimento, avvenuta una settimana dopo, ai partecipanti è stato chiesto <strong>quale fosse la loro porzione preferita</strong> di quiche e insalata.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p style="text-align: justify;">Dai risultati è emerso come le persone a cui erano state servite inizialmente porzioni piccole <strong>cambiavano di fatto la loro percezione</strong> riguardo a quanto fosse una porzione «normale» di cibo. Le persone in questione <strong>sceglievano porzioni ridotte in autonomia</strong>, suggerendo quindi la possibilità che potessero ripetere la scelta in futuro.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <h2 style="text-align: justify;">Porzioni piccole per contrastare il sovra consumo</h2> <p style="text-align: justify;">Secondo <strong>Eric Robinson</strong> che ha condotto la ricerca, la riduzione delle porzioni attualmente disponibili in commercio potrebbe essere un metodo efficace per <strong>ridurre il sovra consumo</strong> di cibo e ridurre l’obesità nella popolazione. Per Robinson infatti: «Se le porzioni dei prodotti in commercio fossero più piccole, questo potrebbe ricalibrare ciò che le persone ritengono normale finendo per ridurre la quantità di cibo che si sceglie di assumere».</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p style="text-align: justify;">Dai risultati tuttavia è incerto quanto l’effetto delle porzioni piccole possa durare. I ricercatori fanno notare come l’effetto fosse <strong>più marcato il giorno successivo</strong> alla prima somministrazione e meno marcato una settimana dopo. Se tuttavia le porzioni piccole fossero una realtà diffusa e costante, probabilmente il sovra consumo di cibo sarebbe notevolmente ridotto.</p> </div> 

Porzioni-piccole-sovra-consumo

Abituarci a porzioni piccole può cambiare nel tempo la nostra idea di una porzione «normale». Uno studio mostra come scegliendo porzioni di dimensioni ridotte si può modificare il regime alimentare senza sforzo. L’appello  all’industria alimentare per realizzare porzioni ridotte.

Porzioni piccole per mangiare meglio: lo dice uno studio

 <div class="wpb_wrapper"> <p>Secondo la fondazione di ricerca brasiliana <strong>FAPESP</strong>, il 94% dei piatti più popolari serviti nei ristoranti in paesi come Brasile, Cina, Finlandia, Ghana, Stati Uniti e India <strong>contiene più di 600 kcal</strong>: la quantità raccomandata per un singolo pasto dal sistema sanitario del Regno Unito per prevenire l’obesità. Inaspettatamente, la cifra si è abbassata quando in considerazione sono stati presi i <strong>fast food</strong>, per cui la percentuale di piatti extra large è <strong>scesa al 72%</strong>. Meno, ma non certo poco.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <h2>Piatti troppo grandi: rischio obesità</h2> <p>I ricercatori hanno misurato il contenuto energetico di un campione di<strong> 223 piatti al ristorante</strong>, comprati a Ribeirão Preto (Brasile), Pechino (China), Kuopio (Finland), Accra (Ghana), Bangalore (India) e Boston (USA). Secondo i ricercatori i dati dimostrerebbero come sono solo staremmo mangiando il cibo sbagliato ma anche <strong>in quantità troppo elevate</strong>. Non solo: spesso anche un piatto considerato «salutare» servito al ristorante potrebbe contribuire all’obesità più di una porzione comprata al fast-food <strong>proprio per via della dimensione</strong>.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p>Non solo cattive abitudine ed educazione, l’<strong>obesità infantile</strong> pare essere collegata anche dall’<strong>inquinamento dell’aria</strong>. Questa la conclusione di uno studio pubblicato da <em>The Journal Environmental Health</em>, che con un analisi di oltre <strong>2.300 bambini</strong> ha notato una forte correlazione tra la crescita nelle vicinanze di strade trafficate e lo sviluppo dell’obesità infantile.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <h2>Obesità infantile: l’ultimo danno dell’inquinamento</h2> <p>Lo studio ha preso in esame un campione di 2.318 bambini e, t<strong>enendo in considerazione anche variabili</strong> quali genere, etnia e educazione parentale, ha riscontrato un’importante <strong>correlazione tra l’esposizione all’inquinamento e lo sviluppo dell’obesità infantile</strong>. I bambini maggiormente esposti in tenera età ad aree trafficate, tendevano, giunti al decimo anno d’età, a pesare mediamente un chilo di più di quelli meno esposti all’inquinamento. Nello specifico la sostanza incriminata è il diossido di azoto, prodotto dalla combustione dei <strong>motori diesel</strong>, anche se studi precedenti avevano mostrato l’effetto negativo in termini di peso anche di altre sostanze.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p>Quanto ancora non risulta chiaro è la ragione per cui l’inquinamento sembri condurre all’obesità infantile. Un’ipotesi sostiene che l’<strong>effetto infiammatorio</strong> delle sostanze inquinanti sull’organismo causi degli scompensi metabolici nei bambini. Data la crescente urbanizzazione e considerando la sempre maggiore esposizione a cui sono sottoposti i bambini in tenera età, specialmente nei passeggini, la questione non va in alcun modo sottovalutata. Che l’inquinamento fosse dannoso per l’organismo ormai è un dato di fatto, ma che il suo effetto avesse un tale <strong>impatto sistemico</strong> su un organismo in fase di sviluppo, suona ai profani come una sorpresa. Senza contare il peso delle implicazioni anche di carattere sociale di questa scoperta, ulteriore testimonianza di un divario sociale in costante crescita, che colpisce duramente le fasce meno abbienti della popolazione, che tendenzialmente vivono nelle zone più inquinate. Tutti segnali indicano l’urgenza crescente di una rivoluzione verde.</p> </div> 

 <div class="wpb_wrapper"> <p><span style="color: #999999;"><em>Le informazioni contenute in questo articolo sono da intendersi a puro scopo informativo e divulgativo e non devono essere intese in alcun modo come diagnosi, prognosi o terapie da sostituirsi a quelle farmacologiche eventualmente in atto. In nessun caso sostituiscono la consulenza medica specialistica. L’autore ed il sito declinano ogni responsabilità rispetto ad eventuali reazioni indesiderate.</em></span></p> </div> 

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L’obesità infantile sembra essere collegata all’inquinamento dell’aria, specialmente quello prodotto da automobili e camion. Lo mostra uno studio.

L'obesità infantile è collegata all'inquinamento dell'aria

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Nutrizione

Secondo una ricerca in diversi stati del mondo, il 94% dei piatti al ristorante ha più calorie della quantità raccomandata.

Porzioni extra large: il 94% dei piatti al ristorante ha troppe calorie

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