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Mare: ogni anno perse reti da pesca per una lunghezza pari a 18 volte la Terra

Mare: ogni anno perse reti da pesca per una lunghezza pari a 18 volte la Terra

Uno studio rivela la quantità di reti da pesca e attrezzatura varia perse dai pescherecci in mare, oggetti che minacciano la fauna

Ogni anno vengono perse in mare così tante reti da pesca che, se legate assieme, consentirebbero di avvolgere la Terra addirittura 18 volte. Considerando solo la lenza dispersa nelle acque, ovvero il filo per usato per le reti da pesca, si potrebbe legare il nostro pianeta alla Luna, coprendo due volte la distanza tra noi e il satellite. Sono gli esempi fatti per rendere più comprensibili gli impressionanti dati emersi da un nuovo studio sull’inquinamento della pesca realizzato dall’agenzia scientifica del governo australiano CSIRO e dall’Università della Tasmania, e pubblicato sulla rivista Science Adavances. Un fenomeno preoccupante, che minaccia soprattutto la fauna marina.

Mare, ogni anno perse reti da pesca per una lunghezza pari a 18 volte la Terra
Foto: Jo-Anne McArthur @Unsplash

Reti da pesca perse in mare, lo studio

Per questo lavoro, già considerato il più completo mai realizzato prima su questo tema, i ricercatori si sono basati su interviste standardizzate. Sono state ascoltate 451 aziende attive nelle pesca commerciale, sparpagliate in sette paesi (Stati Uniti, Marocco, Indonesia, Belize, Perù, Islanda e Nuova Zelanda) in cui vengono utilizzati tutti i principali metodi di pesca. Quanto dichiarato nelle interviste è stato poi rapportato al numero di aziende ittiche esistenti nel mondo per calcolare una stima dell’attrezzatura abbandonate nelle acque di mari e oceani.

Gli impressionanti numeri

I risultati lasciano a bocca aperta. Ogni anno vengono dispersi 78mila chilometri quadrati di reti da circuizione e reti da imbrocco, 215 chilometri quadrati di reti a strascico, 740mila chilometri di palangari (lunga lenza di grosso diametro a cui sono attaccati spezzoni di lenza più sottile), 15,5 milioni di chilometri di braccioli (gli spezzoni di lenza attaccati al palangaro e che vanno più in profondità), 13 miliardi di ami e 25 milioni di trappole e nassi (trappole particolari per crostacei come le aragoste).

Le cause

Dalle interviste è emerso anche che le imbarcazioni più piccole perdono più attrezzatura di quelle grandi. Inoltre, i pescherecci che praticano la pesca a strascico, quindi verso i fondali, ne lasciano in acqua un numero maggiore rispetto a quelle che pescano a medie profondità. Guardando solo alle reti da pesca, la quantità abbandonata in mare ogni anno consentirebbe di ricoprire l’intera Scozia.

Ma come mai viene persa una mole di materiale così vasta? Denise Hardesty, una delle autrici principali dello studio, ha spiegato che tra le cause ci sono la poca cura nel metterlo in sicurezza quando le condizioni meteorologiche sono brutte e gli incidenti tra pescherecci durante le battute di pesca nelle stesse zone, con le reti e i fili che vanno ad attorcigliarsi tra loro diventando inutilizzabili.

Fauna marina in pericolo

Il fenomeno delle reti da pesca e dell’altra attrezzatura ittica abbandonata in mare è un duplice problema per l’ambiente marino. In primo luogo vanno ad aggravare l’enorme inquinamento da plastica che avvelena le acque. Ma soprattutto sono armi letali per la fauna marina, anche senza il controllo diretto dell’uomo.

Il materiale da pesca abbandonato infatti continua a intrappolare animali e a uccidere mentre fluttua in mare, sprofonda verso il fondo oppure viene trasportato a riva dalla corrente. “Parliamo di uccelli, tartarughe, balene, squali, delfini e dugonghi”, ha spiegato Hardesty al Guardian. “Inoltre, viene catturata una quantità di pesce che non sarà mangiata da nessuno. Questo diventa un problema di sicurezza alimentare in quanto quelle proteine non stanno nutrendo nessuna persona nel mondo”.

Le possibili soluzioni

Ma ci sono soluzioni per contrastare questa forma di inquinamento? Secondo la ricercatrice, i governi interessati dal problema dovrebbero introdurre dei meccanismi di riacquisto per l’attrezzatura ittica che viene abbandonata più spesso. Altre opzioni utili potrebbero essere l’applicazione di etichette di riconoscimento sul materiale e l’apertura di centri di riciclo nei porti per permettere ai pescatori di liberarsi senza inquinare reti e altri strumenti non più utilizzabili.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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