Da William Blake a Umberto Saba, andiamo a scoprire insieme alcune delle poesie più belle mai scritte sugli animali e sulla loro vita.
Gli animali sono parte integrante della vita sul pianeta e nel corso del tempo a loro hanno dedicato poesie e pensieri i più disparati scrittori. Alcuni hanno insistito sul loro modo unico di osservare il mondo, mentre altri ne hanno messo in evidenza i comportamenti peculiari. Andiamo, allora, ad avventurarci insieme fra i componimenti con protagonisti cani, gatti, tigri e altri componenti della fauna.
Le poesie migliori sugli animali
“A un gatto” di Jorge Luis Borges
Non sono più silenziosi gli specchi
né più furtiva l’alba avventuriera;
sei, sotto la luna, quella pantera
che a noi ci è dato percepire da lontano.
Per opera indecifrabile di un decreto
divino ti cerchiamo invano;
più remoto del Gange e del Ponente
tua è la solitudine, tuo il segreto.
La tua schiena accondiscende la carezza
lenta della mia mano. Hai accolto,
da quella eternità che è già oblio,
l’amore di una mano timorosa.
Sei in un altro tempo. Sei il padrone
di un abito chiuso come un sogno.
"L'Albatros" di Charles Baudelaire
Spesso, per divertirsi, i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
indolenti compagni di viaggio delle navi
in lieve corsa sugli abissi amari.
L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le grandi ali bianche.
Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!
Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, impediscono
che cammini le sue ali di gigante.
“La Tigre” di William Blake
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco? Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?
Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?
Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?
“La capra” di Umberto Saba
Ho parlato a una capra
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
alla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
“Epitaffio per un cane” di George Byron
In questo luogo
giacciono i resti di una creatura
che possedette la bellezza
ma non la vanità
la forza ma non l’arroganza
il coraggio ma non la ferocia
e tutte le virtù dell’uomo
senza i suoi vizi.
Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga
sulle ceneri di un uomo,
è l’omaggio affatto doveroso alla memoria di
‘Boatswana’, un cane che nacque a Terranova
nel maggio 1803
e morì a Newstead Abbey.
il 18 novembre 1808
“L’elefante” di Primo Levi
Scavate: troverete le mie ossa
Assurde in questo luogo pieno di neve.
Ero stanco del carico e del cammino
E mi mancavano il tepore e l’erba.
Troverete monete ed armi puniche
Sepolte dalle valanghe: assurdo, assurdo!
Assurda è la mia storia e la Storia:
Che mi importavano Cartagine e Roma?
Ora il mio bell’avorio, nostro orgoglio,
Nobile, falcato come la luna,
Giace in schegge tra i cintoli del torrente:
Non era fatto per trafiggere usberghi
Ma per scavare radici e piacere alle femmine.
Noi combattiamo solo per le femmine,
E saviamente, senza spargere sangue.
Volete la mia storia? È breve.
L’indiano astuto mi ha allettato e domato,
L’egizio m’ha impastoiato e venduto,
Il fenicio m’ha ricoperto d’armi
E m’ha imposto una torre sulla groppa.
Assurdo fu che io, torre di carne,
Invulnerabile, mite e spaventoso,
Costretto fra queste montagne nemiche,
Scivolassi sul vostro ghiaccio mai visto.
Per noi, quando si cade, non c’è salvezza.
Un orbo audace mi ha cercato il cuore
A lungo, con la punta della lancia.
A queste cime livide nel tramonto
Ho lanciato il mio inutile
Barrito moribondo; Assurdo Assurdo.