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Le origini del Grana Padano

Le origini del Grana Padano

Non è solo la materia prima a fare di questo formaggio uno dei vessilli dei prodotti gastronomici italiani, ma anche una storia vecchia di quasi un millennio.

Abbiamo già trattato in un precedente articolo di uno dei re dei formaggi nostrani, il Parmigiano Reggiano ( clicca qui per leggere la news), raccontandone la storia e le origini nonché qualche luogo di produzione particolarmente caratteristico. In questo pezzo parleremo invece del suo collega più vicino, direttamente dalla Val Padana, il Grana Padano, nato dalla mano capace dei monaci che in quei tempi avevano sottratto la valle alle paludi, bonificando grandi porzioni di territorio.

La storia

Come stavamo dicendo, si pensa che le prime forme di questo formaggio abbiano cominciato a prendere forma nelle caldaie dei monasteri, in particolare alcune fonti riportano che fu fatto per la prima volta nell’abbazia di Chiaravalle, anno 1134, qualche chilometro a sud di Milano. Conosciuto inizialmente come caseus vetus, formaggio vecchio, divenne ‘grana’ per la sua consistenza compatta e granulosa e la poca dimestichezza dei contadini con il latino. Sono diversi i grana più rinomati, anche se in molti considerano il lodesano o lodigiano come uno dei primi e più pregiati, non ci si può dimenticare del milanese, del piacentino e di quello mantovano. Le storie del Parmigiano e del Grana però si intrecciano solo nel 1951, quando fu firmata a Stresa una ‘Convenzione’ nella quale si fece una precisa distinzione tra il formaggio di “Grana lodigiano” e il “Parmigiano Reggiano”. Risale al 1996 invece il riconoscimento del Grana, da parte della comunità europea, come DOP, diventando ai giorni nostri il più venduto formaggio al mondo con questa certificazione.

Le mucche

Lasceremo ad un altro articolo il compito di chiarire la differenza tra il parmigiano e il grana, parlando delle loro tecniche di lavorazione. Ma una cosa possiamo cominciare a dirla: la prima divergenza sta proprio nell’alimentazione delle mucche. La zona di produzione del Grana Padano è veramente ampia, e lo è ancora di più quella da cui si può prendere il latte, che comprende anche Anterivo, Lauregno, Proves, Senale-San Felice e Trodena nella provincia autonoma di Bolzano. L’alimentazione dei capi è dettata, come la zona di produzione, dal Disciplinare stabilito dal consorzio, in generale è basata su mangimi prodotti all’interno dello stesso territorio in coltivazioni aziendali. Nelle quattordici pagine del documento sono racchiusi per filo e per segno tutti i punti che fanno di un formaggio qualsiasi il Grana Padano, e proprio sui mangimi che possono essere somministrati recita: “L’alimentazione base delle bovine da latte è costituita da foraggi verdi o conservati, e viene applicata alle vacche in lattazione, agli animali in asciutta ed alle manze oltre i 7 mesi di età. [...] Nella razione giornaliera non meno del 50% della sostanza secca deve essere apportata da foraggi con un rapporto foraggi/mangimi, riferito alla sostanza secca, non inferiore a 1. Almeno il 75% della sostanza secca dei foraggi della razione giornaliera deve provenire da alimenti prodotti nel territorio di produzione del latte, così come individuato all’art. 3.”

E il Parmigiano invece? La qualità della dieta delle mucche dedite alla produzione di latte per questo formaggio è un po’ più restrittiva, non contemplando la possibilità di utilizzare insilati, ovvero erba conservata in silos. Quest’ultimo punto permette al cugino emiliano del Grana di evitare l’uso dei conservanti, ammessi invece nel Padano, in cui si impiega il lisozima.

Fonti: Granapadano - Wikipedia - Formaggio - Agriform - Politicheagricole - Indipendenzanuova - In-lombardia


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