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La plastica dispersa negli oceani aumenta la loro acidità

La plastica dispersa negli oceani aumenta la loro acidità

Uno studio ha scoperto che la plastica negli oceani, interagendo con i raggi del sole, rilascia sostanze che aumentano l’acidità delle acque

I modi in cui la plastica nuoce agli oceani e alla fauna marina sono molti purtroppo. Le microplastiche, ad esempio, vengono ingoiate dai pesci ed entrano nella catena alimentare, arrivando addirittura sul nostro piatto. Ci sono poi le reti da pesca abbandonate che continuano a intrappolare e a uccidere delfini, tartarughe e altri animali. Ora però è stato scoperto un’altra conseguenza della sua diffusione: l’aumento dell’acidità delle acque. La plastica, infatti, in determinate condizioni, rilascia delle sostanze che vanno ad alterare il pH delle acque con conseguenze gravi per la fauna marina.

La plastica dispersa negli oceani aumenta la loro acidità
Foto: @Pxfuel

La plastica negli oceani aumenta la loro acidità

La scoperta, oggetto di uno studio pubblicato sulla rivista Science of The Total Environment, è stata fatta dagli scienziati dell’Institut de Ciències del Mar (ICM-CSIC) di Barcellona. Il lavoro ha evidenziato che la plastica dispersa negli oceani aumenta la loro acidità quando colpita dai raggi del sole. Quando avviene questa interazione, il materiale rilascia un mix di sostanze chimiche (acidi organici) che causano un abbassamento del pH e un conseguente incremento della cosiddetta acidificazione delle acque. La plastica in corso di decomposizione colpita dal sole può anche rilasciare anidride carbonica, gas che contribuirebbe a far calare ancora di più il PH.

Questo fenomeno, però, non si verifica in misura uguale in tutte le parti degli oceani. Sono le acque superficiali quelle più interessate: qui, il pH crolla in media di circa 0,1 unità, decrescita che ha causato già molti cambiamenti. Cambiamenti che potrebbero essere amplificati se le emissioni di gas serra rilasciate dall’uomo con le sue attività, causa principale dell’acidificazione, continueranno a crescere. Gli oceani infatti ne assorbono circa il 30 percento del totale.

Grazie a questo studio siamo riusciti a dimostrare che nelle zone superficiali degli oceani altamente inquinate dalla plastica, la decomposizione del materiale porta a un calo del pH fino a 0,5 unità, dato che è comparabile con il pH che ci aspettiamo di vedere nel peggior scenario legato alle conseguenze delle emissioni dell’uomo per la fine del 21° secolo”, ha spiegato Cristina Romera-Castillo, autrice principale della ricerca.

Lo studio

Per dimostrare che la plastica aumenta l’acidità degli oceani, i ricercatori hanno utilizzato materiale di vecchia e nuova generazione raccolto sulle spiagge delle isole Canarie. Hanno poi messo i frammenti di questi rifiuti in bottiglie di vetro riempite con acqua marina per poi esporle a livelli di raggi ultravioletti paragonabili a quelli proiettati dal sole sul nostro pianeta.

Dal test non solo è emerso che questa interazione incrementa l’acidificazione degli oceani, ma anche che i tipi più vecchi di plastica in decomposizione rilasciano livelli più elevati di carbonio organico, incidendo maggiormente sul crollo del pH. I nuovi formati del materiale, come quello biodegradabile o il polietilene, non hanno invece un impatto degno di nota sull’acidità.

Le conseguenze sulla fauna marina

Sebbene non si sappia ancora quantificare quanto la degradazione della plastica contribuisca in percentuale all’acidificazione complessiva degli oceani, sono noti gli effetti del fenomeno sulla fauna marina. Un’acidità più alta rende più difficile per alcuni animali come coralli, ostriche e ricci di mare usare la calcificazione, meccanismo con il quale solitamente sviluppano il loro scheletro. Ciò si va a ripercuotere sugli habitat che solitamente popolano e sull’alimentazione degli animali che si nutrono di essi. Insomma, altre validissime ragioni per non disperdere la plastica nell’ambiente.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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