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Barriera Corallina: un trapianto per salvarla

Barriera Corallina: un trapianto per salvarla

In Australia, un sistema di trapianto potrebbe aiutare a salvare la Barriera Corallina. Coralli allevati in una zona sono stati trapiantanti con successo in altri luoghi della Barriera. La speranza è quella di salvare l’ecosistema.

Quasi il 30% della Barriera Corallina è stata dichiarata morta nel 2016 e un altro 19% è a rischio per il 2017. Gli scienziati australiani della Southern Cross University tuttavia paiono aver trovato un metodo per arginare il fenomeno grazie ad un riuscito trapianto di coralli. Il metodo apre nuove prospettive sul ripristino dell’ecosistema marino della Barriera messo a dura prova dai cambiamenti climatici.

Un primo successo

La rinascita della Barriera Corallina parte dall’Isola di Heron, un piccolo versamento di terra di nemmeno un chilometro quadrato al largo del Queensland, nell’Australia nordorientale. In questa piccola isola del pacifico gli scienziati australiani sono riusciti in un ambizioso progetto di trapianto di coralli che potrebbe cambiare radicalmente l’approccio globale nella gestione dei danni alla Barriera.

Il team di ricercatori, guidato dal professor Peter Harrison, ha lavorato per mesi raccogliendo spore coralline sane attorno all’Isola di Heron per allevarle successivamente in apposite vasche. Una volta maturate, milioni di larve di corallo sono state trapiantate in zone della Barriera interessate dallo «sbiancamento» dove la rigenerazione naturale dei coralli era stata giudicata improbabile. Otto mesi dopo il trapianto, giovani coralli erano sopravvissuti e crescevano sani grazie anche all’ausilio di speciali reti metalliche posizionate per facilitare la crescita.

Punto di partenza per la rinascita

Il sistema rappresenta un metodo alternativo a quello del cosiddetto «coral gardening» dove coralli sani e maturi vengono spezzati e trapiantati altrove nella speranza che ricrescano. «Il successo della ricerca ha un significato globale» ha commentato Harrison «Mostra come possiamo iniziare a riparare il danno nelle zone compromesse».

Il progetto, per ovvie ragioni, difficilmente riuscirà a coprire i 344.000 chilometri quadrati di Barriera Corallina ma, secondo l’Autorità per il Parco Marino della Barriera australiana, potrebbe avere un enorme potenziale nella creazione di piccole colonie di coralli in grado successivamente di crescere e supportare la ricrescita nel tempo. La tecnica infatti consente di allevare coralli da semplici larve a strutture mature delle dimensioni di un piatto in soli tre anni.

Questione di fondi

Un piccolo sospiro di sollievo quindi per la Grande Barriera Corallina dopo le inquietanti notizie degli ultimi anni. A fare la differenza ora, come sempre, sarà la volontà di investire nel piano. Secondo Peter Harrison serviranno almeno 2 milioni di dollari nei prossimi lustri per espandere il progetto su una scala sufficientemente grande da fare effettivamente la differenza. L’alternativa, poco incoraggiante, è la perdita del 90% della Barriera entro il 2050 e le conseguenti imprevedibili ricadute globali dovute al disequilibrio di uno dei più rigogliosi ecosistemi marini del pianeta.

Fonti: Agence France-Presse – ABC – Daily Mail – The Guardian – Coral Reef Watch


denis venturi
Denis Venturi
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Laureato in Scienze Politiche e Comunicazione Pubblica, ha lavorato in radio e nel tempo libero si dedica alla scrittura creativa. Da sempre appassionato di cultura, scienza e tecnologia è costantemente a caccia di nuove curiosità in grado di cambiare il mondo in cui viviamo.
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