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Vestiti, dal 1° gennaio 2022 è obbligatoria la raccolta differenziata in Italia

Vestiti, dal 1° gennaio 2022 è obbligatoria la raccolta differenziata in Italia

A inizio 2022, è entrato in vigore in Italia l’obbligo per i comuni di fare la raccolta differenziata dei vestiti buttati, ma il sistema non è pronto

Dal 1° gennaio 2022 anche in Italia è entrato in vigore l’obbligo di effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti tessili urbani. Dunque, quando ci dovremo disfare di vestiti vecchi e non in condizioni tali da essere donati in beneficienza, questi non potranno più andare nel bidone del secco-indifferenziato. La novità deriva dal decreto legislativo 116/2020, provvedimento con cui il nostro Paese ha recepito, in anticipo di tre anni, uno dei decreti del “Pacchetto di direttive sull’economia circolare” (la Direttiva UE 2018/851) dell’Unione europea del 2018. I Comuni italiani saranno tenuti a predisporre un sistema di raccolta idoneo allo scopo. Ma i problemi non mancano, tanto che si parla già di un rinvio di quest’obbligo.

Con l’avvio del 2022, è entrato in vigore anche in Italia l’obbligo per i Comuni di raccogliere in modo differenziato i rifiuti tessili
Fonte: Francois Le Nguyen @Unsplash.com

La raccolta differenziata dei vestiti

Con l’entrata in vigore della raccolta differenziata dei rifiuti tessili urbani dovremo impegnarci a trattare i vestiti come facciamo già con umido, carta, vetro e plastica. Non ci sarà, tuttavia, una modalità di gestione di questi rifiuti unica per tutto il Paese. Ogni Comune potrà introdurre il sistema che ritiene più adeguato al proprio territorio e ai propri utenti. Ci sono già molte amministrazioni lungo la Penisola che hanno predisposto i cassonetti o le campane nelle strade o degli appositi spazi nelle isole ecologiche.

Gli esempi più comuni sono i cassonetti gialli che si trovano in molte città italiane. I vestiti che vengono buttati in questi contenitori non sono infatti destinati alla beneficenza, come molte persone credono. Vengono invece prelevati da realtà, spesso cooperative sociali, che si occupano del loro trattamento e di sancirne la destinazione. Tre sono i possibili percorsi: riutilizzo (cosa che avviene per il 68/70% delle quantità raccolte, secondo Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile), riciclo del materiale (29%) o smaltimento (3%).

Raccolta vestiti obbligatoria, ma mancano le regole

Ci sono però molti altri Comuni che la raccolta dei rifiuti tessili urbani devono imbastirla da zero. E qui arrivano i problemi. I sindaci lamentano infatti che il recepimento dell’obbligo anticipato è arrivato senza che il ministero della Transizione ecologica abbia definito e indicato loro linee guida od obiettivi da raggiungere in materia. In pratica, si è iniziato a giocare una partita senza che prima venissero stabilite le regole.

La protesta, raccolta a fine 2021 dalla rivista Altreconomia, giunge dall’Anci, l’Associazione nazionale comuni italiani. Quest'ultima aveva peraltro proposto un emendamento alla Legge di bilancio 2022 in votazione finale alla Camera, e non recepito nel testo approvato dal Senato, per chiedere che l’obbligo fosse posticipato almeno di un anno. Ora, dopo la caduta dell'esecutivo Draghi, sarà compito del nuovo governo che uscirà dalle urne del 25 settembre, in particolare del nuovo titolare del ministero per la Transizione ecologica, colmare questo vuoto.

L’inquinamento del settore tessile

Il settore tessile globale è il quarto settore per maggior impiego di risorse primarie (dopo alimentare, costruzioni e trasporti) e il quinto per emissioni di gas serra (circa il 10%, cioè più delle emissioni di navi e aerei messe insieme). I dati sono del Secondo il Piano d’azione per l’economia circolare della Commissione Ue. Per l’Agenzia Europea per l’Ambiente, invece, alla produzione tessile è imputabile il 20 per cento dell’inquinamento globale dell’acqua potabile per l’uso di prodotti chimici nelle operazioni di tintura e finissaggio dei capi. Insomma, la raccolta differenziata è solo uno dei molti fronti su cui bisogna agire.

I rifiuti tessili in Italia

Il “Rapporto sui rifiuti urbani”, pubblicato nel dicembre 2021 dall’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra), fa il punto della situazione sui rifiuti urbani. Nel 2020 ne sono state differenziate oltre 143mila tonnellate (contro le quasi 158mila tonnellate del 2019), pari a circa lo 0,8 per cento del totale della raccolta differenziata. Per rendere meglio l’idea di questa quantità, la plastica costituisce l’8,6 per cento, mentre il vetro il 12,2 per cento.

Recuperare i materiali

La battaglia contro i rifiuti tessili urbani è sacrosanta e doverosa, ma forse è stata avviata con i tempi sbagliati. L’obiettivo è impedire che i rifiuti finiscano in discarica e negli inceneritori, contrastando così l’inquinamento del mondo della moda. Soprattutto quella fast-fashion. Ma la raccolta differenziata non dovrebbe essere fine a se stessa, bensì funzionare da volano per attivare nuovi circuiti virtuosi.

Andrebbe incentivato sempre di più il recupero dei materiali, la cosiddetta materia prima seconda (cotone, lana, cashmere, ecc.), per produrre nuovi capi d’abbigliamento e limitare così l’impatto ambientale derivante dalla richiesta di nuove risorse tessili vergini. Un circolo virtuoso da cui possono nascere anche interessanti opportunità economiche con la creazione di vere e proprie filiere del riciclo italiane.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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