Terapia con i delfini: questi straordinari animali aiutano l’uomo?

La terapia con i delfini è un argomento molto controverso. Le ricerche si sono susseguite ma, mentre chi la pratica parla di benefici evidenti, la questione per gli esperti è ben diversa. Le prove scientifiche a sostegno di questa forma di pet therapy sono infatti estremamente carenti e le proteste di ambientalisti e altri specialisti aggravano ulteriormente il bilancio.

La terapia con i delfini:
L’origine della terapia con i delfini risale all’inizio degli anni 70. Allora negli USA l’antropologa Betsy Smith è rimasta colpita dall’interazione tra questi straordinari mammiferi e persone con disabilità. Aveva, infatti, notato che i delfini, anche quando abitualmente aggressivi, si avvicinavano a tali soggetti con delicatezza, come se ne fossero attratti. Dopo 50 anni la delfinoterapia è diffusa in tutto il mondo e si rivolge, in genere, a bambini con disturbi dello spettro autistico, sindrome di Down, deficit motori e forme depressive. In molti Paesi resta tuttavia vietata a causa della mancanza di evidenze scientifiche sulla sua efficacia.
I benefici della terapia con i delfini:
Coloro che praticano la terapia con i delfini la ritengono assolutamente benefica. I delfini sono, infatti, animali dall’eccezionale intelligenza, capaci di una complessità emotiva notevole. I vantaggi di questo approccio deriverebbero, comunque, in primis, dall’ambiente in cui si svolge. L’acqua riduce, infatti, gli stati dolorosi, favorisce il relax, fornisce supporto facilitando l’equilibrio e stimola, con il moto ondoso, la consapevolezza corporea. L’interazione con i delfini aiuterebbe, poi, a migliorare le capacità di concentrazione e quelle comunicative, fornendo al contempo stimoli sensoriali ed emotivi. Il senso di responsabilità ne trarrebbe altrettanti vantaggi, insieme ad autostima, motivazione ad aprirsi al mondo esterno e capacità empatica.
Terapia con i delfini e proteste:
La terapia con i delfini non è ben vista dalla comunità scientifica. Molti affermano che si tratta di un’illusione, in grado, forse, di divertire, ma non di procurare concreti benefici, distinguibili dall’effetto placebo. I programmi sono, poi, spesso costosi e il timore è che finiscano per fare leva sulle speranze di soggetti disperati, sostituendosi alle cure mediche. Lori Marino, neuroscienziata, ha inoltre spiegato che la terapia costituisce un rischio bilaterale. I delfini non possono, infatti, essere definiti addomesticati e devono essere considerati imprevedibili e in grado di ferire. Tale attività sarebbe, poi, dannosa anche per gli animali, sottratti al loro ambiente e sottoposti a stress.
La terapia con i delfini non risulta di facile comprensione. La difficoltà di quantificare i dati rende la sua efficacia, essenzialmente indimostrabile. I singoli casi documentati non mancano, ma scinderli dalle emozioni in gioco è complesso. Tutelare i delfini rimane comunque prioritario e, forse, per ora, sospendere il giudizio e tuffarsi in un’altra forma di pet therapy, è l’unica valida strategia.
