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Il più grande impianto di cattura e sequestro di Co2 del mondo è ora in funzione

Il più grande impianto di cattura e sequestro di Co2 del mondo è ora in funzione

Si trova in Islanda e sarà in grado di assorbire l’equivalente delle emissioni di 870 automobili. La Co2 sarà trasformata in roccia nel giro di due anni

È entrato in funzione nella prima metà di settembre il più grande impianto di cattura e sequestro di anidride carbonica mai realizzato nel mondo. La struttura, costruita nei dintorni di Reykjavík, la capitale dell’Islanda, sarà in grado di assorbire dall’atmosfera circa 4mila tonnellate di Co2 all’anno per trasformarla in roccia. Dietro il progetto c’è l’azienda svizzera Climeworks, realtà specializzata in questa tecnologia che da tempo è considerata una delle armi per contrastare il problema dei gas serra e del surriscaldamento globale.

Il più grande impianto di cattura e sequestro di Co2 del mondo si trova in Islanda e sarà in grado di assorbire l’equivalente delle emissioni di 870 automobili all'anno

Come funziona l’impianto

L’impianto si chiama Orca, dalla parola “orka” che in islandese significa “energia”. Alla base del suo funzionamento ci sono una serie di ventole industriali installate in collettori di forma cubica. In pratica delle grandi scatole. Questi sono disposti in quattro grandi blocchi, formati a loro volta da due container metallici simili a quelli usati per le spedizioni delle merci via mare e disposti uno sopra l’altro. Grazie alle ventole i collettori risucchiano l’aria carica di anidride carbonica da un lato facendola uscire ripulita dal lato opposto. La Co2 rimane infatti trattenuta all’interno di queste scatole grazie all’azione di un filtro realizzato con uno speciale materiale assorbente.

Anidride carbonica trasformata in pietra

Quando il filtro è carico di anidride carbonica, le fessure del collettore che fanno transitare l’aria vengono chiuse e inizia la fase desorbimento. In altre parole, l’impianto estrae la Co2 catturata surriscaldando il filtro ad altissima temperatura (circa 100°), calore ottenuto grazie all’impiego di energia geotermale, fonte molto sfruttata in Islanda. L’anidride carbonica viene infine mescolata con acqua e pompata sottoterra, a una profondità di mille metri.

Qui, dove sono presenti rocce di basalto, si trasformerà in pietra attraverso il processo di mineralizzazione naturale. Per quest’ultima fase, Climeworks ha stretto una partnership con Carbonfix, un’azienda islandese specializzata in questo tipo di trasformazione. È ritenuta una tecnica affidabile per eliminare in modo permanente e sicuro il gas serra.

Sequestro di Co2, tra entusiasmo e perplessità

Secondo i calcoli degli esperti che l’hanno progettata e costruita, questa grande “spugna” di Co2 sarà in grado di assorbire l’equivalente delle emissioni rilasciate da 870 automobili. Climeworks ritiene che il modello dell’impianto islandese possa essere facilmente scalabile e replicabile in altre location idonee in giro per il mondo con tempi di realizzazione attorno ai 15 mesi. Caratteristiche che potrebbero favorirne la diffusione.

Non tutti però sono convinti dell’efficacia e soprattutto della convenienza economica di questa tecnologia. Le preoccupazioni riguardano in particolare il fatto che puntare troppo sui sistemi di cattura e sequestro potrebbe spingere governi e aziende a prendere troppo alla leggera gli impegni per tagliare le emissioni di gas serra. Le due soluzioni dovrebbero invece andare di pari passo secondo gli esperti che studiano la crisi climatica per ottenere dei risultati tangibili. Sul fronte economico, i critici sostengono che i costi per la tecnologia siano ancora eccessivi. Anche per questo servirebbe troppo tempo per costruire un numero di impianti sufficiente per contrastare il surriscaldamento globale. Insomma, una tecnologia interessante attorno a cui ruotano ancora diversi interrogativi.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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