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I signori del cibo e la “finanziarizzazione” del settore agroalimentare

I signori del cibo e la “finanziarizzazione” del settore agroalimentare

Quando il cibo diventa un bene da sfruttare, quando ci si rapporta al sistema agroalimentare come una miniera da cui estrarre impunemente, i rischi possono essere enormi.

Sono molti i saggi che provano a fare luce sull’intricato mondo del settore agroalimentare, alcuni di questi li abbiamo già trattati, un esempio è “I padroni del cibo” di Raj Patel. Pagina dopo pagina questi libri ci ricordano come sia veramente difficile orientarsi in un mercato come questo, dove non si conoscono confini netti e distinguere buoni e cattivi non sempre è una scienza esatta.

Con un saggio dal titolo molto simile a quello di Patel, Stefano Liberti, di cui abbiamo già trattato il libro ‘Land Grabbing’, ci porta a conoscere quali sono i grandi gruppi che bene o male decidono cosa finirà sulla nostra tavola.

Cosa si intende per "finanziarizzazione"?

Le realtà operanti nel settore agroalimentare hanno cambiato veramente prospettiva solo negli ultimi anni: inizialmente un produttore non doveva preoccuparsi di nulla oltre a trovare un modo per produrre in maniera sostenibile il cibo che avrebbe venduto. Semplice, lineare, funzionale. Allevamento e agricoltura in passato avevano tra i loro obbiettivo quello della produzione di cibo con annessa rigenerazione degli ambienti sfruttati.

Prospettiva che si è persa nel momento in cui a far pendere l’ago della bilancia non è stata più la questione di equilibrio quanto quella della massimizzazione dei profitti. Nel più breve tempo possibile. In un’intervista rilasciata a Internazionale il 7 febbraio scorso Stefano Liberti paragona questi grossi gruppi a locuste, “hanno un approccio di tipo estrattivo rispetto all’ambiente in cui il cibo viene prodotto, cioè lo trattano come se fosse un giacimento di petrolio, una miniera d’oro, cercano di prendere tutto nel più breve tempo possibile.

Ecco il concetto di finanziarizzazione del settore agroalimentare venire alla luce, la trasformazione dei prodotti alimentari in commodities, generalmente caratterizzate da una forte volatilità dei prezzi, innescata dalla crisi finanziaria del 2007. Fu in quell’anno che gli occhi voraci e speculatori decisero che il nuovo settore dalle uova d’oro sarebbe stato l’agroalimentare, con la popolazione in crescita repentina e la necessità fisiologica di sfamarsi, sembra tutt’ora un investimento a prova di bomba.

Economia di scala, chi sono i signori del cibo?

Stiamo parlando di gruppi in questo caso, nemmeno quasi più di singole aziende, piuttosto complesse multinazionali che estendono la loro produzione su tutto il globo, in grado di spostarsi da un ambiente esausta al successivo da sfruttare forti di un potere economico praticamente inarrestabile e di una concorrenza praticamente ridotta all’impotenza. Parole d’ordine in questo caso sono omologazione e standardizzazione, basti pensare ad una realtà con un po’ più di anni sulle spalle come McDonalds. Il risultato sul lungo periodo è che il pomodoro coltivato in sud Italia sia identico a quello coltivato in Cina o nel Sud America. Più prodotto possibile al minor costo possibile, non esiste mantra più capitalista.

Chi perde in questa partita? La qualità del prodotto in primis viene sempre più sacrificata in favore del prezzo, così come le politiche ambientali, seconda vittima sacrificata sull’altare del risparmio, e per finire i diritti dei lavoratori, esempio che noi italiani conosciamo molto bene, basti pensare ai caporalati.

Questo è solo il tema di fondo che lega tutto il saggio di Liberti, un libro sicuramente interessante che lancia molti spunti di riflessione. Dovremo prepararci a sfamare 10 miliardi di persone tra non molto tempo, meglio cominciare a studiare.


Matteo Buonanno Seves
Matteo Buonanno Seves
Scopri di più
Un giovane laureato in Scienze Gastronomiche con la passione per il giornalismo e il mai noioso mondo del cibo, perennemente impegnato nel tentativo di schivare le solite ricette e recensioni in favore di qualcosa di più originale.
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